Filosofia tantra
Spesso, se non sempre, il tantrismo è stato ridotto ad una sorta di cultura della sessualità sfrenata, fine a se stessa, una specie di “filosofia dell’orgia” che finisce così con l’attirare l’attenzione di frustrati e soggetti sessualmente disturbati. Sono questi il momento e l’occasione, almeno per me, per contribuire a fare un po’ di chiarezza su una delle più alte costruzioni spirituali del mondo orientale. Il Tantra non è né una filosofia, né una religione, né una disciplina o una tecnica: è una “Via”. Questo concetto, inusuale per la mentalità occidentale, sta ad indicare un percorso esperienziale, strutturato e concepito per condurre l’anima, intesa come la parte spirituale dell’essere umano, a ricongiungersi con il principio divino dell’universo che già l’anima contiene dentro di sé. Attraverso questa particolare “Via”, percorsa con l’interezza del proprio essere (corpo, emozioni, mente, anima), lo spirito, autentica scintilla del fuoco divino, può tornare ad incontrarsi e a perdersi nell’infinità d’Amore che lo attende e che lo precede. È una prospettiva grande, che, fra l’altro, non caratterizza solo il Tantra, ma molte “vie” tradizionali dell’oriente, come lo yoga o il taoismo, recentemente molto più diffuse nel nostro civilizzato occidente tra le macerie delle tante crisi che hanno trovato risposte nella New Age e nell’Olismo. Come tutti i raggi di una ruota, se percorsi fino in fondo, conducono inevitabilmente al centro, al mozzo, che è l’anima della ruota stessa, così ogni “Via”, pur nella sua specificità, conduce all’incontro con il Divino che sta al di là di ogni rappresentazione che l’uomo se ne fa. L’obiettivo comune di tante strade dai nomi differenti è perciò quello di puntare verso il cielo, ed ogni “Via” suggerisce i suoi percorsi ai ricercatori, come strategie diverse per ottenere il medesimo risultato. Se ad esempio l’ashtanga yoga di Patanjali propone, in un certo senso, di costruirsi le ali per volare, purificando progressivamente il proprio essere, il Tantra suggerisce invece il modello dei grandi alberi: radicarsi profondamente nella terra per poter innalzare le proprie fronde nell’azzurro del cielo. Volare è una sfida dura: occorre alleggerirsi al massimo, rinunciare a moltissime cose per tornare ad un’essenzialità assoluta, allenarsi duramente, avere coraggio e potenza per combattere la forza di gravità. Per questo, con molta lucidità, il grande maestro Osho Rajneesh sosteneva che lo yoga è una via “maschile” verso il divino, una via per combattenti spirituali. La grande quercia, nella mia visione, opera diversamente: forte, radicata nella terra, accoglie fra i rami lo spazio del cielo e le sue creature, senza sfidarlo, come una madre che vede nel suo piccolo figlio una scintilla di Dio, ma, al contempo, lo nutre e lo allatta, senza dimenticare che – per ora – egli appartiene ancora alla terra. E anche la terra sa amare! Questo è il mio Tantra: la via femminile verso “moksha”: la trasformazione finale. Il termine “Tantra”, deriva dalla radice sanscrita “tan”, che, alla lettera, indica l’azione di stendere la tela sull’ordito e quindi, in senso lato, significa “espandere”, “dilatare”. E che cosa viene dilatato? Molto semplice: lo spirito, la coscienza incondizionata, il “sé”, ciò che la tradizione filosofica indo-vedica chiama “atman”, contrapponendolo all’ego psicofisico (l’ahamkara). Per ottenere questa espansione del sé, basata sulla dilatazione della coscienza, il punto di partenza, secondo il Tantra, consiste nella ricalibratura della sensorialità. Gli esseri umani, sempre più spesso, sono caratterizzati da una sensorialità grossolana, distratta, incapace di percepire le sfumature. È un problema, perché disporre solo di una sensorialità grossolana significa non riuscire a cogliere la bellezza sottile di tutto ciò che ci circonda, divenire incapaci di gioire profondamente per il tenue fascino di un fiore, il profumo di un muschio, il tocco di una mano... Per reagire, abbiamo sempre più bisogno di stimolazioni intense, pesanti, invasive: le troviamo nella droga, nel mondo delle immagini trash, nell’inferno acustico delle discoteche. Per un essere umano che ha incrementato la finezza dei suoi sensi, invece, la vita tutta intorno è piena di bellezza e di fascino. Se Dio esiste, nulla è “normale”, ma tutto, proprio tutto, è “straordinario”:! Purtroppo, però, i nostri sensi rozzi e ottusi ci rendono sempre più incapaci di “sentire” la vita. Per questo il primo passo della via tantrica consiste in una purificazione della sensorialità: purificarsi dall’inquinamento sensoriale che caratterizza la vita quotidiana, per sviluppare una sensorialità sottile, capace di cogliere le sfumature e, con esse, la ricchezza della vita. Colori, profumi, sapori, contatti fisici, suoni, mantra e musica: raffinate esperienze in tutti questi ambiti conducono finalmente il sadhaka tantrico (il discepolo che percorre questa Via) a vivere con intensità il “qui ed ora”. Se percepisco la ricca bellezza della realtà che mi circonda e mi lascio catturare dalla pienezza di vita che ogni istante contiene, la mia mente sentirà sempre meno il bisogno di essere “altrove”, di fuggire nel passato o nel futuro, la mia consapevolezza inizierà a crescere e la coscienza a dilatarsi, i rimpianti e le paure a svanire, l’ansia del futuro a diminuire. Così, senza che il sadhaka se ne renda neppure conto, la dimensione della meditazione è iniziata. Perché questa è la meditazione: totale presenza, apertura e dilatazione della coscienza che scopre l’eternità nell’istante presente.